In una ampia introduzione, molto avvertita dal punto di vista teorico e metodologico, e basata, come tutto il volume, su una conoscenza molto estesa della letteratura, l'autore discute i concetti e la terminologia del suo studio. Sono dapprima tematizzate in una prospettiva critica le pratiche del ricordo legate ad oggetti materiali, nel quadro di una aggiornata rassegna delle teorie della memoria, tra le quali si riserva opportunamente spazio alla lezione di M. Halbwachs. Quindi si discutono le nozioni di 'relitti' e 'reliquie', enfatizzandone la differenza, che è riconosciuta in una più accentuata valenza semasiologica, spesso di ordine sacrale, delle seconde.
Segue una trattazione (nel terzo fondamentale capitolo, di circa 350 pagine) delle pratiche sociali che contraddistinguono l'atteggiamento dell'antichità greco-romana nei confronti dei relitti del passato: identificazione e comprensione dei resti materiali del passato in riferimento all'epoca, al carattere eccezionale, prodigioso o mirabile, al significato; raccolta ed esposizione in ambito sacrale o profano; presentazione nel contesto di luoghi e strutture finalizzati alla memorializzazione; conservazione; fruizione nel quadro del 'turismo' antico; fenomeni di traslazione e circolazione; sacralizzazione delle tombe e dei luoghi di nascita e morte di figure storiche di rilievo.
Il discorso si concentra poi (nel quarto capitolo) sul ruolo dei resti materiali del passato nella letteratura, privilegiando la discussione della loro funzione testimoniale nella storiografia, nella letteratura periegetica, nelle cronache locali e nella paradossografia. Si segnalano alcuni saggi dedicati a casi di speciale interesse: il racconto erodoteo della fondazione di Cirene; l'esposizione delle peregrinazioni di Enea da parte di Dionisio di Alicarnasso; la linea storiografica Tucidide-Polibio-Tacito, con il suo sostanziale rifiuto di ancorare la riflessione storica al passato remoto e alle testimonianze materiali; la discussione antica sugli spolia opima romulei. Non mancano pagine riservate ai riferimenti a documenti e monumenti nella diplomazia antica e alla presenza e alla funzione dei testi epigrafici nella storiografia greco-romana.
Il quinto capitolo offre una panoramica critica del significato e della funzione del 'relitto' in Grecia e a Roma. Il loro ruolo di testimonianza materiale di un passato mitistorico fondante è illustrato per il mondo greco sulla base di una analisi del contesto dell'acropoli ateniese e della Anagraphe di Lindo. Mentre in riferimento a Roma l'analisi evidenzia le forme e il significato della costruzione di una 'topografia del ricordo' incentrata sulle origini monarchiche e sul passaggio alla repubblica. Si discute poi il ruolo di talismano con funzioni protettive assegnato a tombe, statue (tra cui naturalmente il Palladio, 553-62) e artefatti, e infine la funzione in generale legittimante dei resti materiali del passato.
L'ultimo capitolo si concentra sulla trasformazione delle forme e pratiche greco-romane del ricordo nel contesto della cristianizzazione del mondo antico. La discussione si concentra soprattutto sulle origini del viaggio in Terra Santa, sulla sua evoluzione in epoca post-costantiniana, sulla cristianizzazione del paesaggio memoriale della Terra Santa stessa, infine sul ruolo della memoria nell'esperienza vissuta del pellegrinaggio come modalità privilegiata di attualizzazione, in funzione identitaria, delle origini cristiane.
A conclusione dell'indagine una densa esposizione dei risultati finisce con l'enfatizzare, del tutto opportunamente, che, anche al di là delle pratiche e degli atteggiamenti degli antichi, i resti materiali del passato sono, assai più che testimonianza 'oggettiva' dell'accaduto, oggettivazione del passato immaginato e ricostruito dai protagonisti delle pratiche memoriali. Il che implica la natura mobile e labile del confine tra oggettualità e immaginazione. Non solo dunque la distinzione tra 'relitto' e 'reliquia' si rivela precaria, come sottolinea l'autore. Ma soprattutto, si potrebbe aggiungere, ritorna in campo il grande problema del ruolo della memoria rispetto al passato: se essa sia più ricostruzione significativa, come molti ormai ammettono, che non semplice ricordo di un oggetto dato, isolato in una dimensione cronologicamente trascorsa e testimoniato da resti materiali.
La ricerca di Andreas Hartmann, che sviluppa una Dissertation accettata dalla Katholische Universität di Eichstätt-Ingolstadt nel 2007/2008, rappresenta uno studio di non comune ampiezza (846 pagine), che spazia dalla Grecia a Roma alle origini cristiane e mette a frutto una letteratura perfettamente aggiornata e vastissima (la sola bibliografia occupa 140 pagine). La prospettiva della trattazione è di tipo fenomenologico e prasseologico insieme. Il taglio è sintetico, piuttosto che analitico: non si cercheranno qui analisi di dettaglio delle numerosissime questioni di ricostruzione e interpretazione ancora aperte, ma in generale la documentazione (fonti antiche e discussioni moderne) è molto accurata, e non mancano indagini su singoli problemi, in genere a esemplificazione di fenomeni e pratiche di più ampio significato. L'unico studio d'insieme comparabile, il magistrale Der Reliquienkult im Altertum di Friedrich Pfister (Giessen 1909-12 [1974]), è in questa ricerca non solo ripensato radicalmente, ma anche collocato in una più ampia prospettiva problematica, che è quella del rapporto dell'antichità greco-romana, ma anche del nuovo mondo cristiano di età imperiale, con il suo passato in generale, almeno nella misura in cui esso si presenta attraverso i suoi resti materiali. Ne risulta uno studio che offre solide basi a qualsiasi ulteriore discussione di aspetti più specifici nell'ambito di tale complessa e fondamentale problematica.
Merita di essere sottolineata la scelta di una trattazione che si rivolge tanto al mondo greco quanto a quello romano: le discussioni di Roma quale "Museum der Welt" (126-135), dei culti funerari imperiali (358-93), del paesaggio memoriale romano (514-38), o anche di aspetti più specifici quali il catalogo dei pignora imperii (545-48), gli ancilia di Numa (548-53) o il Palladio (553-62) acquistano una dimensione aggiuntiva dalla contestualizzazione rispetto alle pratiche memoriali e cultuali elleniche. Lo stesso vale per la discussione della memorializzazione dei luoghi e degli oggetti delle origini cristiane, che è attenta, molto opportunamente, a sottolineare la fondamentale continuità nella trasformazione che le caratterizza rispetto ai precedenti greco-romani.
La ricerca di Andreas Hartmann, pur sostenuta da una adeguata consapevolezza metodologica e teorica, e sufficientemente orientata ai problemi, privilegia sostanzialmente il dato empirico e la presentazione, peraltro sempre intelligente, dello stato dell'arte. Il tema del rapporto dell'antico con il suo passato è certo di inesauribile complessità e non poteva essere esaurito in un singolo studio d'insieme, per quanto ampio. Tuttavia, sarebbe stato opportuno spingere più a fondo l'interpretazione, soprattutto in tema di storiografia e con riferimento al rapporto tra formazione e trasmissione delle tradizioni, scritte e orali, e testimonianze del passato.
In definitiva, siamo comunque di fronte a un volume importante, di grande impegno e rigore, che illustra accuratamente una vastissima problematica e al tempo stesso suscita domande e invita a ulteriori indagini. Pochi dubiteranno si tratti di uno strumento utilissimo.
Andreas Hartmann: Zwischen Relikt und Reliquie. Objektbezogene Erinnerungspraktiken in antiken Gesellschaften (= Studien zur Alten Geschichte; Bd. 11), Berlin: Verlag Antike 2010, 846 S., ISBN 978-3-938032-35-0, EUR 109,90
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