Il florilegio noto come Auctoritates Aristotelis, Senecae, Boethii, Platonis, Apuleii Africani, Porphyrii et Gilberti Porretani, conosciuto anche con il titolo di Parvi flores, e attribuito al francescano Giovanni della Fonte (che probabilmente diede alla raccolta la forma definitiva), può essere di fatto considerato uno degli strumenti per intellettuali tra i più diffusi nel medioevo. Questa raccolta di sententiae non costituisce una entità stabile e ben definita, ma presenta numerose varianti e differenze, a partire dal titolo (è solitamente intitolata Parvi flores nei manoscritti, Auctoritates Aristotelis nella versione a stampa). Nonostante la grande diffusione e fortuna, l'influenza di questa compilazione su numerosi autori medievali è divenuto tema di studio solo dopo l'edizione critica curata nel 1974 da Jacqueline Hamesse. [1] Quasi quarant'anni dopo questa significativa pubblicazione il gruppo di ricerca del progetto "Iberian Scholastic Philosophy at the Crossroads of Western Reason" ha organizzato un convegno internazionale, tenutosi il 12 e 13 ottobre 2012 presso la Faculdade de Letras dell'Universidade do Porto, con l'intento di fare il punto degli studi critici sulla presenza, sull'influenza e sull'utilizzo delle Auctoritates Aristotelis e di aprire nuovi percorsi di ricerca su quelli che José Meirinhos, nella prefazione, definisce gli «enigmi» che restano da chiarire sulla circolazione delle fonti e la loro compilazione, il ricorso alle citazioni e i metodi di argomentazione (p. VII).
Il volume riunisce e presenta la versione rivista e ampliata delle relazioni proposte durante il convegno, tutte tese a indagare e approfondire la fortuna del florilegio durante il medioevo. Dopo la prefazione di Meirinhos, Jacqueline Hamesse nell'introduzione ricostruisce brevemente la storia dell'edizione critica delle Auctoritates Aristotelis, segnala le questioni ancora da indagare e si sofferma su alcuni aspetti della raccolta: l'ampiezza e la complessità della tradizione manoscritta, la questione del prologo inserito alla fine del XII secolo, l'assenza di citazioni della Metaphysica aristotelica, l'arricchimento progressivo del contenuto del florilegio e la sua evoluzione dalla seconda metà del XIII secolo, la sua diffusione in età rinascimentale.
La serie dei contributi si apre con il saggio di María José Muñoz dedicato ai manoscritti delle Auctoritates Aristotelis conservati in Spagna. Questa tradizione manoscritta "locale" non è ampia ma varia nel titolo dato al florilegio, nella provenienza dei codici, nei contesti di trasmissione del testo (teologico, scientifico o extra-accademico). Lo studio di Muñoz si inserisce nel progetto di ricerca "Los florilegios latinos conservados en España V" e offre "un modèle du genre", nelle parole di Hamesse (8), che si auspica replicabile nella realizzazione di inventari sistematici dei manoscritti che conservano le Auctoritates presenti nelle biblioteche nazionali, ma anche nelle collezioni private. Ancora a partire dalla tradizione manoscritta Pieter De Leemans discute le possibili relazioni del florilegio conservato nel codice parigino Bibliothèque Nationale de France lat. 14704 con le Auctoritates Aristotelis, concludendo - con Martin Grabmann e Steven J. Williams - che si tratti di una raccolta autonoma, sebbene inserita da Hamesse nella lista dei manoscritti delle Auctoritates (pubblicata nel 1974 e nel 1994).
La maggior parte dei saggi esplora l'uso del florilegio in diversi autori medievali. José Felipe Silva individua due tipi di fonti aristoteliche nell'opera di Kilwardby, sia manuali e compilazioni (come le Auctoritates) sia testi filosofici originali, utilizzate in base ai propositi e all'uditorio del domenicano inglese. Griet Galle rileva la dipendenza di Pietro d'Auvergne dai Parvi flores nelle sue Quaestiones sul De caelo aristotelico, riportando un elenco dettagliato dei luoghi citati. Alessandra Beccarisi affronta la questione della presenza delle Auctoritates Aristotelis in Eckhart su un piano metodologico, ipotizzando che il maestro domenicano lavorò con una serie di fonti documentate anche nelle Auctoritates, che avevano probabilmente una circolazione indipendente dal florilegio. Sulla stessa linea, William Duba rileva nell'opera di Pietro Aureoli una forte presenza di citazioni aristoteliche, che benché non siano riconducibili alle Auctoritates testimoniano l'uso e la diffusione di raccolte di sentenze formulari. Andrea Robiglio parte dalla tesi di Edward Moore, che attribuiva al Poeta fiorentino un'intima conoscenza del corpus aristotelico, per concludere che anche Dante fece uso di florilegi, inclusi i Parvi flores, "utensili di raccolta" che non precludevano la lettura dei testi originali, essendone i frutti.
Christine Boyer e Lorenza Tromboni si occupano della presenza delle Auctoritates Aristotelis nell'ambiente dei predicatori domenicani. Boyer verifica la presenza del florilegio in Guillaume de Sauqueville (Manipulus florum) discutendo come la filosofia aristotelica venga impiegata nel discorso morale. Partendo dallo studio delle raccolte di appunti filosofici di Girolamo Savonarola (De doctrina Platonicorum, De doctrina Aristotelis), Tromboni mostra quale fosse l'utilizzo del Frate dei testi filosofici e di strumenti compilativi come appunto le Auctoritates Aristotelis. Pietro B. Rossi si rivolge invece a un contesto maggiormente letterario indagando l'atteggiamento nei confronti di Aristotele in due umanisti di epoche differenti, Francesco Petrarca e Coluccio Salutati. Entrambi ricorrono a un uso acquisito di dicta Aristotelis, ma mentre per Petrarca non è possibile stabilire il ricorso a un florilegio, una scarna presenza di citazioni dalle Auctoritates è documentabile in Salutati.
Un approccio più tematico allo studio della compilazione è offerto dai contributi di Marco Toste e Guy Guldetops. Toste si concentra sull'uso dei florilegia aristotelici (con particolare attenzione ai Parvi flores) nella Facoltà delle Arti parigina tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, più specificatamente sui commentari di filosofia pratica. Guldetops ricostruisce la storia di un'unica massima, presente anche nelle Auctoritates Aristotelis, "nihil dat quod non habet" ripercorrendone la fortuna da Platone (Symposium) a Seneca, Aristotele, Plotino, Agostino, Bonaventura e Dante, sino a Deridda.
In chiusura, Luca Bianchi individua e riassume i risultati nuovi e rilevanti dei diversi contributi raccolti in un bilancio conclusivo del convegno, e apre al contempo una nuova linea di indagine segnalando la presenza delle Auctoritates Aristotelis in Gelileo (Discorso sul metodo).
Il volume è inoltre corredato da una preziosa bibliografia curata da Meirinhos dedicata alla letteratura critica sulle Auctoritates e sui florilegi filosofici, e dagli indici dei manoscritti, dei luoghi delle Auctoritates citati, degli autori antichi, medievali, moderni e contemporanei.
Si tratta di una pregevole miscellanea di studi che ripercorrono con differenti approcci le modalità del successo dei Parvi flores/Auctoritates Aristotelis, in epoca scolastica sino al Rinascimento, individuando e tracciando nuovi percorsi di ricerca sulla storia del florilegio, sulla sua diffusione e sul suo utilizzo.
Nota:
[1] J. Hamesse: Les Auctoritates Aristotelis. Un florilège médiéval. Étude historique et édition critique (Philosophes médiévaux; 17), Louvain: Publication Universitaires 1974.
Jacqueline Hamesse / José Meirinhos: Les Auctoritates Aristotelis, leur utilisation et leur influence chez les auteurs médiévaux. État de la question 40 ans après la publication (= Textes et Etudes du Moyen Âge; 83), Turnhout: Brepols 2015, IX + 362 S., 6 s/w-Abb., ISBN 978-2-503-56738-9, EUR 55,00
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