Jessica Priestley: Herodotus and Hellenistic Culture. Literary Studies in the Reception of the Histories, Oxford: Oxford University Press 2014, XI + 274 S., ISBN 978-0-19-965309-6, GBP 55,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Barbara Gauger / Jörg-Dieter Gauger (Bearb.): Fragmente der Historiker. Theopomp von Chios (FGrHist 115/116) übersetzt, eingeleitet und kommentiert, Stuttgart: Anton Hiersemann 2010
Yun Lee Too: The Idea of the Library in the Ancient World, Oxford: Oxford University Press 2010
Emily Baragwanath / Mathieu de Bakker (eds.): Myth, Truth, and Narrative in Herodotus, Oxford: Oxford University Press 2012
Dopo lo studio fondamentale di Oswyn Murray che reca lo stesso titolo del volume di cui mi sto occupando ("CQ" 22, 1972, 200-213) il tema del ruolo svolto da Erodoto nella cultura ellenistica non è stato più affrontato in modo sistematico. L'Autrice delimita la sua ricerca al periodo che va dall'ultima parte del IV secolo a.C. alla metà del II. Negli ultimi decenni è progredita la riflessione metodologica sulla ricezione e sul modo migliore di affrontare il Nachleben di un autore. Su questo tema vd. Charles Martindale / Richard Thomas (edd.): Classics and the Uses of Reception, Malden, MA / Oxford 2006: Priestley (11s.) discute in particolare il contributo di Ralph Hexter, 23-31, relativo ai problemi che nascono dall'indagare la ricezione di un singolo autore.
Le questioni che si pongono a chi studia la presenza di Erodoto nella cultura ellenistica si ritrovano anche a proposito di altri autori e di altre opere. In particolare, dopo la ricognizione dei dati disponibili (citazioni esplicite, allusioni, convergenze nel metodo e / o nella forma), è necessario porsi una serie di problemi. Il primo è relativo all'enorme quantità di produzione letteraria (e non soltanto: si pensi alla memoria trasmessa oralmente di cui si fa cenno a pagina 12) che è andata perduta. Tendiamo a classificare una reminiscenza come 'erodotea' anche perché non possediamo moltissimi testi che potrebbero aver esercitato un'influenza diretta o mediata su autori posteriori. E tendiamo anche a individuare precisi rapporti intertestuali tra testi conservati come se fossero gli unici esistenti: notizie e concetti potrebbero invece essere patrimonio comune. Connesso con questo problema è quello dell'identificazione di un genere con l'unico autore che ne reca testimonianza: ad es. a pagina 4 la tradizione etnografica greca sembrerebbe riconducibile esclusivamente al modello erodoteo.
Un altro problema riguarda il carattere schematico delle nostre storie letterarie: nel caso della storiografia la ricostruzione di Felix Jacoby è stata per molti aspetti messa in discussione (4). Rinvio per questo al mio Thucydides continued, in: Antonios Rengakos / Antonis Tsakmakis (edd.): A Companion to Thucydides, Leiden 2006, 691-719. Analoghe considerazioni possono essere applicate all'idea di Hermann Strasburger, che identifica nella storiografia antica un filone tucidideo e uno erodoteo (5, dove non è citato il fondamentale Die Wesensbestimmung der Geschichte durch die antike Geschichtsschreibung, Wiesbaden 1966, 19753). Lo schematismo, in certi casi inevitabile, produce comode etichette che finiscono per diventare rassicuranti certezze.
Un terzo ordine di problemi è determinato dall'uso di categorie consolidate: nel caso che ci interessa, oltre alla categoria di 'erodoteo', non si possono trascurare le questioni che sorgono dalle periodizzazioni (età classica, ellenismo: 15s.).
Il capitolo dedicato alle tradizioni biografiche relative a Erodoto muove dall'osservazione che la maggior parte delle notizie non trova riscontro nell'opera dello storico e dall'ipotesi per cui le informazioni tramandate da fonti posteriori rifletterebbero una tradizione corrente nel periodo ellenistico (21). I tentativi di collegare Erodoto con varie città, oltre a dimostrare l'interesse per questo autore in un'ampia area del mondo greco (19s.), possono essere utilmente messi a confronto con gli analoghi tentativi presenti nelle vite di Omero. Il fatto che le tradizioni biografiche raccontano esclusivamente viaggi all'interno del mondo greco viene correttamente spiegato come proiezione della vita itinerante degli intellettuali ellenistici (24). L'epigramma trasmesso da Erodiano e da altre fonti (29-34) descrive l'opera di Erodoto come 'ionica': questa notazione potrebbe essere la spia di un interesse grammaticale dell'autore dell'epigramma dal momento che Erodoto era concordemente indicato come modello di prosa ionica. La notizia di letture erodotee da parte di un komodós nel teatro di Alessandria (40-42) suscita dubbi, che non sono fugati dalla congettura di Meineke, il quale al posto di Erodoto introduce Esiodo. Per i punti di contatto tra Erodoto e la tragedia attica (45s.) rinvio al mio Erodoto e la tragedia di Troia (2. 112-120), in: Guido Bastianini / Walter Lapini / Mauro Tulli: Harmonia. Scritti di filologia classica in onore di Angelo Casanova, II, Firenze 2012, 633-649, con bibliografia.
La tematica del meraviglioso (51-108) richiede alcune precisazioni. L'Autrice mette sullo stesso piano il thaumastós, il paràdoxos e l'àpistos: in realtà occorrerebbe un'accurata distinzione, anche diacronica, del valore di questi termini che presentano sì aree di sovrapposizione, ma anche significative differenze. In generale sarebbe utile indagare su tutti i termini che hanno a che fare con lo statuto di verità / credibilità di una narrazione. Inoltre, se in una prima fase, tra IV e III secolo a.C., raccogliere e spiegare fatti straordinari faceva parte del lavoro dello scienziato (Aristotele, Eudosso, probabilmente Callimaco), nel corso del tempo prevalse il diletto dei lettori e il genere paradossografico finì per meritare la cattiva fama che lo accompagna. Tutt'altro significato ha il termine paràdoxos nella storiografia ellenistica: compito specifico dello storico è quello di segnalare e raccontare vicende straordinarie e che non si sono svolte secondo le attese (vd., tra i tanti esempi, Pol. 1. 1. 4). Che la retorica del meraviglioso caratteristica di Erodoto, ad esempio l'insistenza sulle dimensioni e sulle misure, si ritrovi in autori ellenistici non è necessariamente segnale di un atteggiamento erodoteo contrapposto a un atteggiamento tucidideo o aristotelico. La perdita di molta letteratura spinge infatti a usare come catalizzatori i pochi testi conservati. Il modello erodoteo potrebbe aver influito sulle descrizioni delle sette meraviglie del mondo, anche se puntuali riprese intertestuali (Callimaco che avrebbe risposto a Posidippo secondo l'ipotesi di Évelyne Prioux; entrambi che potrebbero aver risposto a Erodoto, secondo l'Autrice: 104) mi sembrano, allo stato delle nostre conoscenze, piuttosto deboli.
La sezione sulla presenza di Erodoto nella geografia ellenistica, pur non potendo aspirare a render conto di tutti i riferimenti diretti e soprattutto indiretti, offre un quadro di grande interesse che conferma come Erodoto fosse ritenuto un'autorità in campo geografico da autori appartenenti a generi diversi. Su questo punto può essere utile il confronto con Omero, le cui notizie geografiche, pur contraddittorie rispetto alle conoscenze più recenti, erano comunque discusse e commentate, e persino difese (Strabone che contesta Eratostene). Tra gli esempi proposti segnalo la presentazione delle teorie erodotee sul Nilo di Diodoro Siculo (128-137) e l'allusione di Apollonio Rodio alla rotta della flotta di Serse (149-155). Inoltre si tratta di una geografia connotata: al caso della rotta di Serse si può aggiungere l'ipotesi che lo spostamento dell'insediamento egizio in Colchide dall'area del Fasi a quella del Tanais in Ecateo di Abdera possa essere stato condizionato dai limiti delle conquiste di Alessandro (138-144).
Che il racconto erodoteo delle guerre persiane possa aver influenzato le riprese ellenistiche dello stesso tema, per esempio quando le guerre persiane venivano messe a confronto con l'invasione dei Celti nel 279-278 a.C., è estremamente difficile da dimostrare (161). Ricostruzioni alternative, come quella di Timeo, che attribuiva grande importanza alle città della Sicilia, potevano avere in Erodoto il loro bersaglio polemico (162-168). La perdita dei testi e la problematica identificazione delle fonti di Diodoro costringono a lavorare sul piano delle ipotesi. Un esempio è la possibile origine timaica del sincronismo tra le battaglie di Salamina e di Imera (167s.). Secondo l'Autrice tra Erodoto da un lato e Apollonio Rodio e Licofrone dall'altro vi sarebbe un rapporto intertestuale (173-186), con Erodoto che sarebbe ipotesto indispensabile per entrambi gli autori ellenistici. Su questo punto occorre precisare che il confronto tra le guerre persiane e la guerra di Troia doveva essere emerso molto presto, certamente prima di Erodoto (contra 172): penso ai Persiani di Eschilo, che intrattengono un rapporto molto stretto con il II libro dell'Iliade e sono fortemente omerizzanti dal punto di vista linguistico, e al carme di Simonide sulla battaglia di Platea (frr. 10-11 W2), che inizia con un inno ad Achille. Dei due autori è probabilmente Licofrone a dialogare in modo più diretto con Erodoto, ad esempio integrando l'elenco delle reciproche aggressioni di Asia ed Europa (vd. Stephanie West: Herodotus in Lycophron, in: Christophe Cusset / Évelyne Prioux (edd.): Lycophron: éclats d'obscurité, Saint Étienne 2009, 81-93).
Il capitolo conclusivo, che prende spunto dalla formulazione dell'iscrizione di Salmakis, per cui Erodoto sarebbe l'Omero dei prosatori, tira le fila di molti dei temi trattati nel libro. Non posso entrare in dettagli. Mi limito a segnalare l'interessante interpretazione di Richard Hunter, ripresa e arricchita dall'Autrice, di subl. 13. 3: la connessione di Platone con Omero sarebbe dovuta al desiderio di spiegare le polemiche antiomeriche di Platone (194s.). Si potrebbe aggiungere che gli autori nominati come 'omerici' (Erodoto, Stesicoro, Archiloco, Platone) avevano, in forme diverse, sfidato Omero allo scopo di sostituire i paradigmi offerti dall'epos con altri paradigmi, più appropriati al loro tempo e al loro contesto.
In sintesi, lo studio è interessante non tanto perché offre nuovi dati quanto perché ricostruisce un tessuto di presenze erodotee nella cultura ellenistica soffermandosi su autori e generi che gli storici della storiografia per lo più non considerano. Apprezzabile è anche l'attenzione a un sistema letterario nel quale poesia e prosa hanno ampie aree di sovrapposizione (195-209). Ne emerge un quadro in parte ipotetico a causa del carattere frammentario della documentazione in nostro possesso, ma ricco e dinamico, che permette di comprendere come Erodoto abbia giocato un ruolo importante nella costruzione del paradigma greco e per quali vie sia stato inserito nel canone degli autori da cui non si poteva prescindere.
Roberto Nicolai