Larissa Düchting: Heiligenverehrung in Süditalien. Studien zum Kult in der Zeit des 8. bis beginnenden 11. Jahrhunderts (= Beiträge zur Hagiographie; Bd. 18), Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2016, 321 S., ISBN 978-3-515-11506-3, EUR 54,00
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Il volume di Larissa Düchting affronta uno dei temi più interessanti nell'ambito degli studi medievali, ovvero il culto dei santi, le sue origini, le sue dinamiche e le fonti ad esse connesse. L'analisi è condotta in un ambito particolare, sia per il luogo, l'Italia meridionale, un contesto dove si confrontavano culture e politiche diverse, come quella bizantina e quella latina, con influssi longobardi, franchi, ottoniani (senza contare le scorrerie saracene), sia per il tempo considerato tra l'VIII e l'XI s., dalla vittoria dei Franchi sui Longobardi alla conquista normanna, un periodo in cui il culto dei santi non era ancora rigidamente controllato dalla Chiesa romana. Questo quadro, estremamente instabile dai tempi della separazione tra Oriente e Occidente, era inoltre segnato da una crescente affermazione delle autonomie locali, favorite dalla distanza e talvolta dal disinteresse delle potenze imperiali.
L'autrice sottolinea soprattutto come nei tempi e nei luoghi considerati la traslazione di corpi e di reliquie siano stati estremamente importanti per le comunità locali, segnando l'instaurazione di nuovi culti e la creazione di un senso di identità attraverso la forza aggregante delle celebrazioni festive. Il fine del volume è appunto riconoscere nel contesto turbolento dell'Italia meridionale dei secoli VIII/XI quale funzione abbiano avuto i culti agiografici nella costruzione identitaria. Le questioni sul tappeto paiono quindi bene delineate e riguardano i contesti in cui si è prodotto un cambiamento rispetto ai culti fino allora tradizionali, definendo quando e quali santi siano stati portati con le traslazioni, analizzando i patrocini di chiese e monasteri, i santi menzionati nelle fonti agiografiche e se vi siano state influenze esterne e quanto efficaci, nei diversi ambiti dominati da una cultura predominante longobarda, o bizantina, o romana.
Oggetto dello studio sono in particolare tre città molto differenti, per storia e posizione geografica, dell'Italia: Napoli, Bari e Benevento. Nel periodo considerato Napoli era sotto la dominazione formale di Bisanzio, mentre Benevento era la capitale del ducato longobardo e Bari era in una situazione estremamente istabile tra Longobardi, Saraceni, Franchi/Ottoni e Bizantini. Oltre le tre città, sono stati considerati anche due grandi monasteri, Monte Cassino e San Vincenzo al Volturno, che furono punti di incontro tra cultura greca e latina, destinatari di privilegi da parte di tutte le forze politiche dell'area (compreso il papato) e mete di scorrerie da parte dei Saraceni.
Per quanto riguarda le fonti, sono stati considerati innanzitutto i testi agiografici, sia come testimonianza di tradizioni di culto radicate sia, come nel caso di alcune traslazioni riguardanti santi per così dire 'estranei' al territorio locale, come attesta di recente fondazione. Le traslazioni offrono appunto un punto di vista privilegiato, poiché, a differenza dei santi 'locali', oggetto di culti sviluppatosi attorno a reliquie e tombe conosciute da sempre, le traslazioni di santi non presenti originalmente sul territorio offrono interessanti punti di indagine riguardo a quando, da chi e come sono state fatte e in quali condizioni storiche o politiche. Per quanto riguarda le vitae e le passions va ricordata la grande fioritura a partire dalla metà del IX, anche per il crescente numero di scuole cattedrali che venivano fondate, e la costituzione della cosiddetta scuola napoletana, dove venivano tradotti in latino testi agiografici greci, senza che vi fossero necessariamente tradizioni di culto locale. Oltre alle opere specificatamente dedicate a singoli santi, sono anche stati presi in considerazione martirologi e calendari, come il calendario marmoreo di Napoli, il calendario di Montecassino attestato nel ms. Casanatense 641 con le sue integrazioni presumibilmente realizzate a Benevento e il cosiddetto Martirologio di Erchemperto: si tratta di testimonianze che permettono una prospettiva più ampia sulle tradizioni agiografiche in considerazione dei santi inclusi, di quelli esclusi e anche delle eventuali integrazioni successive. Per gli studiosi di agiografia le tavole comparative incluse nel volume sono di grande utilità. Non sono state trascurate altre testimonianze, come quelle riferite all'edificazione o alla ristrutturazione di edifici sacri.
I risultati dell'indagine mostrano un quadro molto variegato, per la frammentazione dei poteri locali e i diversi interessi in gioco, che resero praticamente impossibile da parte del potere politico o ecclesiastico un controllo in qualche modo centralizzato e uniforme sui culti agiografici, ma in cui è possibile riconoscere alcune linee comuni. Una prima fase riguardante le traslazioni si può stabilire a Benevento, sotto Arichis II, negli anni 60 dell'VIII secolo e riguarda i santi che provenivano da Bisanzio e da diversi parti d'Italia: il nuovo duca originario dell'Italia del Nord, proponeva in questo modo delle figure che potessero creare un'identità culturale e aggregante al fine di integrare le diverse componenti etniche del ducato con quella longobarda. Nello stesso tempo il vescovo di Napoli Stefano II traslava i resti dei vescovi della città dalle catacombe alle chiese cittadine. In questo periodo invece non si hanno testimonianze che riguardino Bari: solo agli inizi del IX s. viene traslato san Sabino, da Benevento alla cattedrale di Canosa. Si tratta di una testimonianza dello stretto legame tra questo santo e i Longobardi prima dell'assimilazione finale con la cristianità romana-latina. Una seconda fase può essere identificata a Benevento con prima metà del IX s. che comportò furti di reliquie per rafforzare il dominio territoriale a spese di Napoli, da cui fu trafugato san Gennaro, e di Amalfi, da cui fu trafugata santa Trofimena, oltre ad altre traslazioni da altre cittadine campane come Nola. Questa fase concise con il consolidamento dei culti locali, come quello del primo vescovo della Benevento longobarda, Barbato, e con l'accrescimento del potere vescovile nella città. A differenza della prima, non riguardò santi bizantini e fu coronata con la traslazione di san Bartolomeo apostolo nel 838, che ne segnò anche la fine, poiché la divisione del ducato nel 849 causò un indebolimento che non poteva essere senza conseguenze.
A Napoli invece non è testimoniata nessuna traslazione nella prima metà del IX s. e solo nella seconda metà furono portate da Monte Cassino le reliquie del vescovo Atanasio, membro di una nobile famiglia partenopea. All'inizio del X secolo i resti dei santi Sosio e Severino furono traslati in città per sottrarli al pericolo delle razzie saracene. Ma fu l'ultima: i contrasti tra Saraceni, Bizantini e Ottoni impedivano altre traslazioni. Riguardo a Bari perdura la mancanza di attestazioni, se si esclude l'ulteriore traslazione di san Sabino a Bari nell'XI s., quando Canosa venne unita alla diocesi.
È interessante il fatto che non vi siano state traslazioni da Roma (mentre nello stesso periodo la Francia ne veniva grandemente beneficata). Altre considerazioni possono essere fatte riguardo ai 'nemici', gli antagonisti negativi che richiedono l'intercessione protettiva dei santi: i Saraceni, nel IX e X secolo non compaiono tanto come nemici religiosi, ma come antagonisti militari, più o meno come i Longobardi nei miracoli di sant'Agrippino e i Bizantini o i Napoletani nella letteratura agiografica di ambito longobardo.
Giovanni Paolo Maggioni