Arjan Zuiderhoek: The Politics of Munificence in the Roman Empire. Citizens, Elites and Benefactors in Asia Minor (= Greek Culture in the Roman World), Cambridge: Cambridge University Press 2009, XVI + 186 S., ISBN 978-0-521-51930-4, GBP 55,00
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La ricerca di Arjan Zuiderhoek ha per oggetto l'analisi di un fenomeno rilevante per la vita culturale, sociale, economica, politica dell'impero romano come l'evergetismo. In particolare lo studio si concentra sull'evergetismo messo in atto da cittadini e non dalle autorità romane in Asia Minore, area dove la ricca documentazione permette di condurre un'indagine basata più che altrove su dati sostanziali. Ricchezza delle fonti, occorre notare, pur sempre relativa a quella che rimane la condizione generale della documentazione per il mondo antico.
Lo studio è distribuito su sei capitoli: Introducing euergetism: questions, definitions and data (3-22); The size and nature of gift (23-36); The icing on the cake? (37-52); The concentration of wealth and power (53-70), The politics of public generosity (71-112), Giving for a return: generosity and legitimation (113-153), capitoli preceduti da una breve Introduction (1-2) e conclusi da un Epilogue. The decline of civic munificence (154-159), tre Appendixes, la Bibliography e l'Index.
È necessario avanzare subito un'obiezione sul materiale utilizzato. La ricerca di Zuiderhoek si basa infatti non sulla documentazione disponibile, ma su di un campione selezionato dallo stesso Zuiderhoek "a sample of little over 500 epigraphically recorded benefactions from Roman Asia Minor" (16); e (16 nota 27) "The sample is - let me repeat - a collection of benefactions, not a collection of inscriptions recording benefactions. Multiple benefactions recorded on a single inscription have been listed separately, unless they clearly formed part of one single act of munificence". Precedenti raccolte di materiali hanno facilitato la raccolta del campione (ibd.). Mi pare comprensibile lo scetticismo che può cogliere un lettore di fronte a risultati che emergano non dall' analisi di tutta la documentazione disponibile ma da una selezione della medesima, specie se poi sulla base proprio di questo campione si traggono conseguenze impegnative rispetto alla dottrina precedente (cfr. per es. 37). Ancora: non è chiaro né il criterio su cui si è basata la selezione, poiché il sample è scelto "as randomly as possible from the published collections of inscriptions" né la provenienza del campione scelto, poiché la divisione proposta (p. 16 fig. 1.1) non sembra stabilita su base regionale o provinciale e - almeno a me - non risulta immediatamente evidente cosa identifichi qui la determinazione di Roman Asia Minor.
Sono ancora convinta, però, che la pur ricca documentazione epigrafica disponibile non consenta di estrapolare valori numerici reali esatti, ovvero rispondenti alla realtà antica nella sua corretta quantità numerica, e che quindi in sostanza ci sfugge il rapporto preciso tra documentazione e realtà rispecchiata dalla documentazione stessa.
Tutto questo non preclude certo lo studio, anzi stimola ad affinare gli strumenti di ricerca; temo invece che ridurre la base documentaria esistente e confinare la ricerca all'analisi di un campione possa in certi casi portare a conclusioni precostituite o fuorvianti, specie se per avvalorare conclusioni determinate si conduce la ricerca restringendo ulteriormente il campione con la creazione di un sub campione parziale (cfr. per es. 24 ss.). Anche l'appello a induzioni ragionevoli e l'utilizzo di speculazioni frutto del buon senso (cfr. per esempio 26-27) non sempre possono sostituire un'analisi serrata condotta su tutti i materiali, così come altrove (35-36) l'impiego di una struttura argomentativo assertiva più che dimostrativa non sempre appare convincente.
In altri casi assunzioni non puntualmente motivate portano a calcoli presentati poi come certi, mentre su un punto importante si assiste alla costruzione di un "hypothetical model of civic income and expenditure in the absence of munificence of any kind" elaborato sulla base di supposizioni o inferenze ma non sui dati reali, perché "the data at our disposal are simply too fragmented and anecdotal"(p. 38). Il punto è di rilievo perché Zuiderhoek intende dimostrare che attraverso l'evergetismo i privati fornivano alle città d'Asia Minore quanto in loro assenza sarebbe stato in ogni caso concesso dal governo locale. L'acquisizione di ciò costituisce uno tra i principali risultati della ricerca che mira a presentare una nuova spiegazione della diffusione del fenomeno in Asia Minore nei primi secoli dell'Impero. Se però a ciò si deve giungere attraverso passaggi argomentativi deboli o ipotetici se non a volte circolari - come lo stesso Zuiderhoek in un caso riconosce altrove (56) - una tale conclusione non rappresenta più l'esito della elaborazione. Non intendo qui negare la possibilità di una tale interpretazione, ritengo però lecito suggerire che questa deve ancora superare l'onere della dimostrazione.
Non sono presi in considerazione, invece, realtà e fenomeni presenti nella prima età imperiale a mio parere utili per contribuire a spiegare il dispiegarsi del fenomeno dell'evergetismo da un lato e la concentrazione di ricchezze dall'altro. Mi riferisco, per esempio, al fatto che l'assenza di scontri civili e la pace imperiale permise l'accumulo e la conservazione di ricchezze da parte di notabili locali senza che noi assistiamo a quegli improvvisi passaggi di capitali testimoniati, per esempio, durante le guerre mitridatiche. Il monopolio del potere da parte di uno solo, inoltre, e il rarefarsi della lotta politica a Roma aveva fatto comprendere al nuovo signore e ai suoi successori quale vantaggio potesse derivare per l'Impero dalla pace e dal benessere provinciali. Anche il contributo di dottrine filosofiche nella valorizzazione del comportamento benefico verso la propria comunità non va a mio parere trascurato.
Zuiderhoek ha ragione nell'individuare la presenza dell'evergetismo sin dall'età arcaica, ma ritengo che un'indagine puntuale sulla derivazione specifica dell'istituto, sul ruolo rivestito dai sovrani prima e dai notabili locali poi nel difficile momento del passaggio sotto l'egemonia prima e il controllo diretto poi dei Romani avrebbe potuto contribuire a inquadrare meglio l'evergetismo e definirne anche aspetti attivatisi pienamente nell'epoca successiva; è possibile infatti che il retroterra ellenistico e romano, ideologico religioso e culturale, potrebbe in una certa misura contribuire a illustrare un regime di aspettativa da parte dei beneficiati e forse sostenere l'ipotesi esplicativa di coesione sociale più volte opportunamente evocata da Zuiderhoek.
A tale proposito e a proposito dei rischi di fratture interne, ritengo plausibile che questi dovessero provenire più spesso da notabili concorrenti che dagli strati sociali inferiori, almeno ciò le fonti sembrano indicare, come, solo per citare un caso, la vicenda di Tiberio Claudio Aristione, grande evergete di Efeso costretto a difendersi da accuse dei concittadini di fronte all'imperatore Traiano (Plin. iun., 6,31,3).
Concludo con alcuni rilievi. Al trattamento della gladiatura in Oriente (93) avrebbe giovato l'utilizzo della fondamentale ricerca di L. Robert, Les gladiateurs dans l'Orient Grec, Paris 1940 e l'ignoranza quasi totale della bibliografia italiana è un pochino sconfortante, mentre non è giustificabile l'assenza di un indice delle fonti (non sostituibile con l'Appendix I) e di un indice dei nomi di persona.
Domitilla Campanile