Benedikt Strobel: Proklos, Tria opuscula. Textkritisch kommentierte Retroversion der Übersetzung Wilhelms von Moerbeke (= Commentaria in Aristotelem Graeca et Byzantina. Quellen und Studien; Bd. 6), Berlin: De Gruyter 2014, VIII + 990 S., ISBN 978-3-11-026625-2, EUR 149,95
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I tre opuscoli - De decem dubitationibus circa providentiam, De providendentia et fato, De malorum subsistentia - del filosofo neoplatonico Proclo di Licia (08/02/412-17/04/485 d.C.) sono trasmessi in larga misura solo nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke (1215 ca. -1286) che possiamo datare agli inizi del 1280. Ben poco si conserva dell'originale greco. Alcuni 'marginalia' dello stesso Moerbeke riprodotti nel codice Vaticanus latinus 4568 (= V), le parafrasi di un certo Isacco Sebastocratore (il fratello dell'imperatore Alessio I Comneno, 1081-1118?) nei suoi tre opusculi i cui titoli calcano quelli di Proclo; citazioni e estratti di altri autori che avevano letto quei testi di Proclo: pseudo-Dionisio (De divinis nominibus), Giovanni Lido (De mensibus), Psello (Omnifaria doctrina) nonché una citazione nel De aeternitate mundi di Giovanni Filopono e una breve serie di estratti in un codice (Hannoveranus IV 546) dei Loci communes dello pseudo-Massimo.
La traduzione di Moerbeke è a sua volta trasmessa da almeno quattro manoscritti, tra i quali il più antico è il codice di Parigi, Bibliothèque de l'Arsénal 473 copiato prima del 1297. Il più importante - perché derivato dall'autografo di Guglielmo - è comunque V (XV/XVI secolo). [1]
L'edizione di riferimento della traduzione di Moerbeke, accompagnata dalla parafrasi di Isacco Sebastocratore e dalle raccolta (non completa) delle testimonianze del testo greco, è ancora quella di Helmut Boese (Berlin 1960). Questa edizione necessita una accurata revisione alla luce delle ricerche più recenti che hanno consentito una diversa e più affidabile ricostruzione dei rapporti stemmatici dei manoscritti di Guglielmo e messo altresì in evidenza l'esistenza di ulteriori testimonianze della redazione greca. Tale non può essere considerata l'edizione di Daniel Isaac (Paris 1977-1982).
Un contributo considerevole e sostanziale viene ora dall'imponente ricerca di Strobel che propone una ricostruzione del modello greco della traduzione latina di Moerbeke per molti aspetti convincente e sempre bene argomentata. Va fino da ora detto che questo esercizio non è fine a se stesso, ma che esso è veramente necessario non solo per restituire il testo corretto di Moerbeke, ma anche e soprattutto per comprendere con maggiore chiarezza e fino nei dettagli il pensiero di Proclo in questi tre scritti non sempre perspicui nella traduzione del domenicano.
La lettura del libro di Strobel non è facile e anche una sia pure sommaria presentazione è complicata dalla incredibile ricchezza del materiale raccolto e puntualmente analizzato.
Il volume si divide grosso modo in due grandi sezioni: una 'Einleitung' (1-63) e un esteso 'Kommentar' (65-977) seguito da una breve lista (979-990) delle edizioni dei testi antichi in esso utilizzate.
La prima parte è assai densa e ricca di risultati innovatori. Strobel stabilisce i limiti della sua ricerca e le caratteristiche portanti. Si tratta del primo tentativo di ricostruire in maniera integrale il testo greco sotteso alla traduzione di Moerbeke dopo quelli parziali e sommari di Boese e di Jean-Pierre Schneider. Strobel si propone di ricostruire il testo originale (Originaltext) greco dei Tria opuscula di Proclo sulla base non solo della traduzione latina di Moerbeke e dei 'marginalia' greci del codice V, ma anche delle altre fonti greche parafrastiche o frammentarie di quegli opuscoli. Strobel prende in considerazione le parafrasi di Isacco Sebastocratore e gli estratti negli autori tardo-antichi e bizantini nonché l'originale greco delle fonti (conservate) citate o riassunte da Proclo: Plutarco (specialmente il De sera numinum vindicta nelle aporie 8-9 del De decem dubitationibus), Platone, Aristotele, gli Oracoli caldaici. Si arriva così a una "Rückübersetzung, mit der der griechische Originaltext rekonstruiert werden soll" (9). Una larga parte di queste pagine (11-30) è riservata alla discussione delle peculiarità della traduzione di Moerbeke e del sistema migliore per poterla utilizzare al fine di ricostruirne il modello greco. Segue una chiara presentazione della tradizione greca 'indiretta' (31-47) e un riesame accurato dei fondamenti sui quali si deve basare la constitutio textus della traduzione latina dei Tria opuscula (48-63).
Il Commentario della seconda parte si divide in tre blocchi - uno per ciascuno opuscolo. Precedono poche pagine con le abbreviazioni bibliografiche (67-75) e accenni sul fine e i contenuti del commentario (76-82). Strobel indaga qui attraverso una analisi minuziosa e perfettamente documentata tutti i problemi che la 'retrotraduzione' dei tre opusculi presenta. Egli tiene conto di tutti gli elementi necessari: 'usus scribendi' di Proclo e di Moerbeke traduttore; peculiarità dei significati di tutte le parole latine e della loro possibile resa in greco; discussione 'sine ira et studio' delle diverse proposizioni dei suoi predecessori.
Di primo acchito il lettore ha come l'impressione di perdersi in un mare di sigle e di abbreviazioni, ma poco a poco prende l'abitudine e profitta pienamente della ricchezza di dati che Strobel distribuisce a piene mani. Il materiale raccolto è imponente e risulterà di estrema utilità per chiunque vorrà d'ora innanzi occuparsi delle traduzioni di Moerbeke (e non solo quelle di Proclo) e del suo metodo versorio.
Alla fine di ogni sezione, Strobel fa seguire, a mo' di appendice, la proposta di retrotraduzione greca dell'opuscolo discusso (De decem dubutationibus, 379-415; De providentia, 661-688; De malorum subsistentia, 937-977).
Sono convinto della validità di questo metodo e della sua applicazione. Avrei semmai insistito un po' più sul fatto che l''Originaltext' di Proclo che si riesce a ricostruire è, per lo più, quello del modello manoscritto perduto sul quale Moerbeke aveva preparato la propria traduzione. Questo testimone poteva in diversi punti combaciare con quello utilizzato da Isacco Sebastocratore e da altri autori tardo-antichi e bizantini. Tra esso e l'originale di Proclo sono comunque da presupporre diversi passaggi che avevano più o meno sfigurato gli 'ipsa verba' del filosofo. Anche ammettendo che il modello di Moerbeke fosse un codice di qualità, una lettura della 'retroversione' prova la presenza indubbia di lacune e di altre corruttele che si sono prodotte nel corso della trasmissione del testo greco e della traduzione latina.
La pazienza certosina di Strobel ha dato ottimi risultati. Gli studiosi di Proclo non potranno che essergli riconoscenti di avere messo a loro disposizione questo strumento di lavoro indispensabile per avere una visione molto più netta della sua dottrina sul fato, la provvidenza e l'esistenza del male.
Qualche indice, anche se sommario, avrebbe apportato un ulteriore, per certi aspetti indispensabile, aiuto al lettore. L'estrema lunghezza del prodotto ha forse costretto Strobel a rinunciarvi per non gravare ancor più sul costo e la maneggiabilità del volume.
Nota:
[1] Vedi Concetta Luna: Le Vat. lat. 4568, copie de l'autographe de Guillaume de Moerbeke (Proclus, Tria opuscula), in: Hommage à Alain-Philippe Segonds, Paris 2012, 159-184.
Tiziano Dorandi